Sottrazione materica. È la luce che disvela l’eccedenza dell’altro, la reductio ad indifferentiam che vede, tuttavia, l’emersione di una traccia tra il nulla. Questa traccia è l’ingresso dell’Altro nell’indistinzione del bianco, è l’irriducibilità di questa eccedenza all’indifferenza. Tracce di nero, articolate epifanie di distinzioni, preludi di irriducibilità genetiche, accompagnano questo cammino fotosensibile. Questa sottrazione materica, sempre dinamica, mai definitiva, dispiega l’epifanico incidere del tratto. È l’incisione nel, e del, vuoto che trasfigura geneticamente le tracce. Tutto ciò che permane è il vuoto tra eccedenze, la sua natura sintetica di opposizioni risolte perché perdute. L’emersione dell’eccedenza, rarefatta, si avvolge di bianco, quel vuoto che la sostiene, che la fa Essere. Nulla sarebbe senza Nulla, figurazioni di nulla, si potrebbe dire, che alimentano le proprie tragicità: la forma sottratta al sé, de-formata, appunto. Questo continuo quadro di de-formazioni decreta la vittoria del vuoto, nel vuoto, sul vuoto. La sovraesposizione satura lo spazio al punto da annullarlo nella abbondanza, l’abbondanza della definizione e della differenza. La sovraesposizione conduce alla reductio ad indifferentiam, ma proprio questa stessa riduzione dischiude la differenza dell’ineliminabile, della traccia epifanica, mnesica, proprio sé, di eccedenze che non si “riducono alla riduzione”. L’irreversibile contagia l’indifferente, il bianco sovraesposto si eleva a figura. L’intorno definisce l’interno, il bianco segna il nero, lo raccoglie inaccoglibile, irricevibile. La tragica farsa degli irriducibili complementari, epifanico dissidio tra eccedenze, tra vuoti saturi, tra paradossi immaterici, laddove la reductio ha sottratto proprio l’essenziale, sostanziale eccedenza di segno. L’inessenziale differenza tra intorno ed interno, l’intorno come piano di esistenza, l’interno come piano di assenza. L’assenza trionfa come eccedente ed irriducibile.

Non voglio salvare l’essenza, 
voglio salvarne l’assenza. 
«L’Essere come tempo perso dal Nulla».

Marco Ciccarella